LA DEVIL TOWER

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shadoo
view post Posted on 19/2/2010, 07:54     +1   -1





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Questa è una leggenda raccontata tipicamente in chiave ironica da Cervo Zoppo.

Dalle pianure del Wyoming si erge la Torre del Diavolo.
È veramente una rocca, visibile per un centinaio di miglia all'intorno, un immenso cono di basalto che sembra toccare le nuvole.
Spunta dalla piatta prateria come se qualcuno l'avesse spinta su da sotto terra.
Naturalmente, Torre del Diavolo è un nome dell'uomo bianco.
Non c'è nessun diavolo nelle nostre credenze e siamo andati avanti bene per tutte queste centinaia di secoli senza di lui.
Voi gente avete inventato il diavolo e, per quanto mi riguarda, potete tenervelo.
Ma al giorno d'oggi ognuno conosce quella rocca sublime con questo nome, così è la Torre del Diavolo.
È inutile dirvi il suo nome indiano.
La maggior parte delle tribù la chiamano Rocca dell'Orso.
Il motivo è questo: se la osservi, noterai sui suoi lati a picco molte, molte striature ed incisioni che corrono su e giù in linea retta, come graffi fatti da artigli giganti.
Bene, molto, molto tempo fa, due giovani ragazzi indiani si ritrovarono perduti nella prateria.
Sappiamo come succede.
Avevano giocato a « palla percossa » e la batterono qualche centinaia di metri fuori del villaggio.
E poi avevano lanciato con i loro piccoli archi ancora più lontano nei cespugli di salvia.
E poi avevano udito un piccolo animale fare un rumore ed erano andati ad indagare.
Erano giunti ad un ruscello con molti ciottoli colorati e lo seguirono per un po'.
Arrivati ad una collina, volevano vedere che cosa c'era sull'altro lato.
Videro un branco di antilopi e, naturalmente, dovettero seguirne le tracce per un certo tempo.
Quando incominciarono ad aver fame e pensarono che era tempo di tornare a casa, i due ragazzi si accorsero che non sapevano dove si trovavano.
Cominciarono a camminare nella direzione dove pensavano fosse il loro villaggio, ma si allontanavano soltanto sempre più da esso.
Alla fine si raggomitolarono sotto un albero e si addormentarono.
Si alzarono il mattino seguente e camminarono un po', sempre dirigendosi nella direzione sbagliata.
Mangiarono qualche bacca ed estrassero delle rape selvatiche, trovarono delle ciliegie selvatiche e bevettero l'acqua dei ruscelli.
Per tre giorni camminarono verso ovest. Avevano i piedi indolenziti, ma sopravvissero.
Oh, come desideravano che i loro genitori, o le zie o gli zii, od i fratelli e le sorelle più grandi li trovassero.
Ma nessuno vi riuscì.
Il quarto giorno all'improvviso i ragazzi ebbero la sensazione di essere stati seguiti.
Si guardarono intorno ed in distanza videro Mato, l'orso.
Non era un orso comune, ma un grizzly gigante, così grosso che i due ragazzi sarebbero stati soltanto un piccolo boccone per lui, ma egli aveva fiutato i ragazzi e voleva quel boccone.
Continuò ad avvicinarsi e la terra tremava come aumentava di velocità.
I ragazzi cominciarono a correre, cercando un posto dove nascondersi, ma non c'era un posto adatto ed il grizzly era molto, molto più veloce di loro.
Incespicarono e l'orso fu quasi sopra di loro. Vedevano le sue rosse mandibole spalancate piene di enormi denti malvagi.
Sentivano l'odore del suo caldo respiro cattivo.
I ragazzi erano grandi abbastanza per aver imparato a pregare ed invocarono Wakan Tanka, il Creatore:
« Tunkashi la, Antenato, abbi pietà, salvaci ».
All'istante la terra si scosse e cominciò ad alzarsi.
I ragazzi salirono con essa. Dalla terra usciva un collo di rocce che andava su, su, su sino a che fu più alto di mille piedi.
Ed i ragazzi erano sulla sua cima.
Mato, l'orso, era deluso nel vedere il suo pranzo scomparire nelle nuvole. Avevo detto che era un orso gigante? Questo grizzly era così enorme che quando era ritto sulle zampe posteriori poteva quasi raggiungere la cima della rocca.
Quasi, ma non del tutto. I suoi artigli erano grandi come i pali da tenda. Freneticamente Mato scavò il lato della rocca con gli artigli, cercando di salire, cercando di prendere quei ragazzi.
Così fece dei grossi graffi nei lati della rocca torreggiante.
Ma la pietra era troppo sdrucciolevole; Mato non poté salir su.
Cercò da ogni luogo, da ogni lato. Graffiava tutt'attorno sulla roccia, ma inutilmente.
I ragazzi lo osservarono logorarsi, divenir stanco, abbandonare.
Alla fine lo videro andar via come un'enorme, ringhiante, brontolante montagna di pelliccia che scompariva all'orizzonte.
I ragazzi erano salvi. Ma lo erano? Come potevano scender giù? Essi erano esseri umani, non uccelli che potevano volare.
Circa dieci anni fa, degli scalatori cercarono di conquistare la Torre del Diavolo.
Avevano corde, e ganci di ferro che consentivano loro di rimanere attaccati alla parete della roccia e riuscirono a salire.
Ma non poterono scendere. Rimasero per qualche tempo su quel gigantesco cono di basalto e dovettero essere ricuperati con un elicottero.
Nei tempi andati gli Indiani non avevano elicotteri.
Così come scesero i due ragazzi? La leggenda non ce lo dice, ma noi possiamo essere sicuri che il Grande Spirito non salvò quei due ragazzi soltanto per lasciarli perire di fame e di sete sulla cima della rocca.
Ebbene, Wanblee, l'aquila, è sempre stata amica del nostro popolo.
Così deve essere stata l'aquila che permise ai ragazzi di afferrarla e di riportarli in salvo al loro villaggio.
Voi conoscete un altro modo?
FONTE: raccontata da Cervo Zoppo a Winner Riserva Indiana Sioux di Rosebud, Sud Dakota, 1969, e registrata da Richard Erdoes





FONTE www.indianiamericani.it
 
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