L'ORSO

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shadoo
view post Posted on 14/1/2010, 11:14     +1   -1




Simbolo vivente di emozioni crudeli ma anche di tenere espressioni mimiche, impavida figura di mitiche scene arcane, emblema di tornei e casate ma anche guardiano del bosco senza sentieri dove abita il Grande Spirito, lentamente avanza nei nostri pensieri…

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Gli animali sono davvero parte integrante della nostra psiche. Il simbolismo cui sono stati soggetti dai tempi più remoti, ne costituiscono l’evidenza inconfutabile.

Essi intervengono costantemente nell’immaginazione, nei sogni e nella magia atavica racchiusa in ogni uomo.

La loro presenza così assidua in ogni campo dello scibile, della cultura e della religione, è lo specchio delle pulsioni riguardanti l’istinto dell’uomo e del suo “stato primordiale” nel tempo addomesticato, tuttavia sempre presente nel profondo dell’anima.

Tra i vari animali molti sono visti come evocatori d’immagini interiori, d’idee archetipali, d’emozioni e d’intuizioni.

Per conoscere le caratteristiche sacrali ed anche imprevedibili di alcuni, da noi accolti come totem personali, avviciniamoci a loro con rispetto.

Ecco, silenziosamente è entrato nel nostro parco zoo l’orso e chiede di essere presentato.

Devo dire che mi è sempre piaciuto l’orso, piccolo o grande, vivo, di cristallo o di morbida peluche, insomma orso! Ancor oggi in un gran cesto conservo molti orsacchiotti che via via sono entrati nella mia vita e che mi rammentano fatti, episodi ed anche persone.

Volendo approfondire la sua conoscenza ho sfogliato diversi libri e così ho conosciuto molti orsi: l’orso bruno, l’orso grizzly, terribile e carnivoro, l’orso nero, ed altri tra cui anche lo Spirit ben, grande orso dal manto bianco che vive libero nelle immense foreste del Grande Orso in Columbia Britannica (Canadà) e l’Orso polare il cui ambiente naturale è il gelido Polo Nord dove sulla neve eterna gioca e ruzzola felice.

Ma dalle nostre parti, vagando nei boschi in Slovenia, nel Parco Adamello Brenta o nel Parco degli Abruzzi inaspettatamente possiamo correre il rischio di un incontro ravvicinato proprio con un orso bruno vegetariano. un pò per scelta e un pò per necessità, a caccia di miele.

Più difficile è invece vedere un orso malese o cinese anche per la caccia spietata che gli fanno gli abitanti di questi luoghi che vendono a peso d’oro gli artigli, le zampe, i denti, la pelliccia e… la bile di questo povero animale che viene utilizzata per farne pillole curative che potrebbero benissimo essere sostituite con prodotti sintetici.

Sorte crudele! e sofferenze inflitte riflesse nei loro occhi supplici.

Attimi d’avvilimento e di tristezza, di sfiducia nel genere umano e di riflessione che dovrebbero servire ad avvicinarci al mondo della natura e degli elementi con più amore.

Ma per far ciò, è detto, bisogna saper ascoltare e percepire gli spiriti dei boschi ed avere una sensibilità particolare che viene soprattutto dall’umiltà.

Bando alla malinconia e torniamo nella Foresta concentrato di forze vive, dì energia selvaggia, dove tutto vibra di colori e di odori e riprendiamo la nostra dissertazione sull’orso…

La scienza zoologica identifica nell'orso un mammifero onnivoro appartenente alla famiglia degli ursidi diffuso in Europa, in America e in Asia.

Suddiviso in varie specie, otto per la precisione, l'orso possiede una testa e un tronco - quest'ultimo lungo da uno e mezzo ai tre metri - massicci, una coda piccola e quasi invisibile, un mantello lungo e folto, zampe possenti dotate ciascuna di cinque dita armate di grossi artigli. Vive isolato o in piccoli gruppi negli ambienti più vari, dalle zone forestali calde alle regioni polari, e nei mesi più freddi cade in letargo.

Questo dice la scienza. Ma un test psicologico, assai di moda negli anni '80, forniva una serie d’identificazioni e di valutazioni circa la figura di alcuni animali che, secondo una certa corrente di studi sulla psiche umana, avrebbero rappresentato i moti interiori dell'animo.

In tal senso, l'orso veniva equiparato alla componente emotiva ed irrazionale dell'animo umano e, unitamente al lupo, anche alle sue sensazioni nei confronti di tutto ciò che compete la sfera dell'occulto.

Per tale valenza psicologica, ma soprattutto per la nutrita serie di tradizioni mitiche peculiari di molte popolazioni d'Europa, l'orso è a ragione considerato un animale che fa parte del simbolismo magico universale.

Sotto tale aspetto principalmente lo esamineremo.

Prima di tutto però, c'è da riferire che la figura dell'orso, come allegoria di particolari caratterizzazioni etiche o comportamentali, compare negli stemmi di molte famiglie nobili europee, principalmente d’area germanica e anglosassone.

Nondimeno l'orso è il simbolo stesso della città di Berlino, la quale trae dall'animale la sua antica etimologia.

L'immagine dell'orso appare tra l'altro nei blasoni cittadini di Morghauser, di Frist, di Bohenmehin in Germania, e di Covertown, d’Artstedt e di Followart in Inghilterra.

Il simbolismo dell'orso più accentuato è riscontrabile in seno alle popolazioni celtiche irlandesi e gallesi. E' un simbolismo composito e complesso, in gran parte associato alla saga di re Artù da un lato, e dall'altro ai miti scandinavi dei Berserkr.

Tra l'altro, il nome del mitico sovrano della Cambria, Artù, prende etimo da quello gaelico dell'orso "art" e "aerth", in lingua bretone "arzh" - e i Berserkr da quello nordico-germanico "bear", oppure dall'antico "beir" e dell'antichissimo "birkr" norvegese.

Nei miti dei Berserkr furono presi in considerazione i "furori sovrannaturali", magico-estatici, se vogliamo, dei guerrieri scandinavi prima, e germanici poi.

Questi combattenti sarebbero caduti, come narrano i poemi epici composti dal primo secolo avanti Cristo fino al III secolo, in una sorta di trance ipnotico grazie ad un processo d’identificazione o d’incorporazione nell’essenza animalesca dell'orso.

Il loro sarebbe stato un modo d’essere dimensionale superumano tragico e violento.

In questa condizione, i guerrieri-orso di sarebbero lanciati contro i nemici.

La battaglia si sarebbe svolta "... senza comparazione di forza tra coloro che cadevano feriti e gli eroi divini divenuti ormai orsi". (Behow. V,17-18).

Nella trasformazione in animale era implicito il passaggio dallo stato umano a quello semi-divino. Sotto questo profilo, l'orso fu considerato elemento vivo di metamorfosi verso uno stato superiore d’identità.

Un elemento magico-spirituale questo, che trovava similitudine nel concetto di licantropia, ovvero della metamorfosi dell'uomo in lupo, durante la quale l'essere umano prende la forma del "signore dei boschi".

Ma, mentre in questo caso la trasformazione è fisico-esistenziale, i guerrieri Berserkr si tramutano, invece, soltanto sotto il profilo spirituale-dimensionale, diventando orsi senza assumerne la sembianza.

La magia dell'orso nell'ambito delle tradizioni irlandesi e britanniche riveste valenze simboliche meno peculiari e più estese, tuttavia sempre connesse alla furia bellica -qui ritorna, per certi versi, la valenza psicologica ursina della irrazionalità e dell’emotività - e agli uomini d'arme.

Un'esempio illuminante in tal senso è, come si è già accennato, il re guerriero Artù, che secondo gli innumerevoli racconti che lo riguardarono, trovò non impeto, ma saggezza attraverso l'analisi introspettiva del proprio animo (cfr. il binomio Art-hur - Mer- el - Lainn).

Nelle tradizioni anglosassoni l'orso simboleggia la classe guerriera e i clan militari, sempre contrapposti alla casta sacerdotale, a sua volta rappresentata dalla figura del cinghiale.

Elementi, questi, messi in forte risalto dai poemi gaelici compresi nella saga del cosìddetto "Mathgen" (IV-V secolo dopo Cristo). Qui gli eroi guerrieri - tra i quali spiccano le gesta di un re guerriero che ricorda la figura di re Artù - danno la caccia al cinghiale bianco Twrch-Trwyrh e alla sua prole.

Nel racconto gallese "Kulhwch eh Olwen", alla caccia segue una lotta a corpo a corpo tra l'eroe del racconto e il cinghiale, una battaglia che dura nove giorni e nove notti, allegoria dei novanta anni che furono necessari per sottomettere la casta druidica (sacerdotale) gallese al potere dei sovrani locali.

Nel racconto irlandese intitolato "Morte dei figli di Tuireann" del VI secolo, un orso uccide a morsi il cinghiale Chiaenn, sotto le cui sembianze si era nascosto il padre del dio Lug, semi-divinità considerato il capostipite della classe druidico-sacerdotale delle regioni nord-occidentali d'Irlanda (Ulster).

Una dea ursina, chiamata Artio, è presente anche nella mitologia dell'Europa continentale, particolarmente dei territori fiamminghi.

Artio è una dea guerriera, adorata dai clan matriarcali che, successivamente, diedero adito ai racconti sulle mitiche amazzoni nordeuropee.

Una divinità dalle identiche attribuzioni, di nome Artemis, fu onorata dalle popolazioni stanziate nei pressi di Berna, altra città che etimologicamente si rapporta alla figura dell'orso.

L'accostamento della figura dell'orso alle vetero-deità femminili, consente di scrutare un ulteriore aspetto della simbologia dell'animale. Una valenza meno nota, ma di gran lunga più interessante e più attinente alla magia delle espressioni mitologiche delle tradizioni nordeuropee in genere.

Infatti, nella mitologia mediterranea l'orso è associato alla figura della dea Artemide, divinità lunare e notturna.

Peraltro l'orso è la sembianza assunta dalla dea nei racconti delle sue apparizioni agli uomini.

In tal senso l'orso incarna una delle due facce della dialettica connessa ai miti lunari: esso rappresenta il carnefice o la vittima, il sacrificante o il sacrificato.

L'orso è presente anche nel mito di Atalanta, la vergine semi-divina che sfidava i giovani nella corsa. La fanciulla, secondo la leggenda, sarebbe stata nutrita e allevata da un'orsa in costante lotta con il cinghiale Calidone.

L'orso simboleggia altresì l'aspetto mostruoso e crudele delle divinità femminili-ctonie. In tal senso il grande psicanalista Carl Gustav Jung, rifacendosi alla mitologia greca, identificò nella figura dell'orso l'aspetto più pericoloso dell'inconscio umano.

Anche nelle popolazioni siberiane l'orso è associato alla luna, o meglio alla divinità lunare chiamata Shianciuck, giacchè l'animale scompare in inverno e riappare il primavera: questo mostrerebbe i suoi legami con la riproduzione dei vegetali, a sua volta connessa intimamente ai cicli lunari.

Tra le popolazioni siberiane arcaiche, l'orso fu considerato anche come l'antenato della specie umana: Infatti, secondo certe credenze, l'uomo avrebbe una vita simile a quella della luna. Poiché tale, egli non avrebbe potuto essere stato creato che dalla medesima sostanza lunare, o da uno stesso atto magico connesso all'astro.

Nella cultura magico-religiosa italica, precisamente latino-sabellica, all'orso fu attribuita una valenza tellurica e sotterranea.

Esso simboleggiava "il respiro della terra" che emanava e si manifestava nelle caverne.

Fu altresì espressione dell'oscurità, delle tenebre, delle forze misteriose che provengono dal buio. In tal senso, un’antichissima filastrocca diffusa fino al Medioevo nei territori reatini, esortava il bambino dormiente a non temere le tenebre, giacché un orso avrebbe vegliato sul suo sonno e avrebbe cacciato ogni larva che avrebbe potuto possedere il suo corpo.

Tale nenia s’inquadrava anche in quel complesso di credenze italiche, popolari e magiche, che considerava sostanzialmente l'orso un animale protettore degli esseri di tenera età - compreso il bestiame in genere - e "iniziatore" ai misteri della vita per ragazzi e ragazze in età adolescenziale.

L'orso avrebbe avuto, però, anche una valenza negativa.

In certe tradizioni magiche etrusche, infatti, l'animale avrebbe rivestito il ruolo infamante di violentatore di donne incinte: un’iscrizione parzialmente decifrata presente in una tomba di Cerveteri, riporta: "... non hai fatto attenzione, povera donna/ non hai fatto attenzione al tuo ventre/ non hai protetto il tuo frutto dall'orsa/ spuntata d'improvviso dall’oscurità della terra ...

La valenza aggressiva dell'orso è anche presente nella cultura alchemica.

La sua figura è simbolo degli istinti brutali dell'uomo e delle fasi iniziali dell'evoluzione dello spirito della singola persona.

Sarebbe altresì allegoria delle forze elementari suscettibili di miglioramenti graduali, ma anche d’improvvise regressioni.

Il suo colore è il nero, tipico della "materia prima" alchemica.

Ciononostante, come tutti i grossi animali feroci, l'orso fa parte della simbologia ctonia. Lunare e notturno esso, pur derivante dai luoghi interni della Terra Madre, e pertanto incontrollabile per sua stessa natura, può essere altresì addomesticato, imbrigliato nelle sue forme comportamentali.

Sotto tale profilo alchemico, il simbolismo dell'orso, connesso all'animo umano e ai suoi tenebrosi meandri, risulta essere alquanto evidente.

La facilità di domare l'animale fu tradizionalmente sottolineata anche dal simbolismo stesso della sostanza di cui è particolarmente ghiotto, il miele.

Questa sostanza, in seno alle tradizioni sapienziali, fu generalmente considerata il cibo preferito dagli dèi o dai santi. Fu considerato soprattutto un nutrimento spirituale in quasi tutti i culti europei. Anche in seno all'ebraismo si ricorda che "... la vergine concepirà un figlio che partorirà e che chiamerà Emmanuele. Egli mangerà miele finché non imparerà a gettare indietro il male e a scegliere il bene" (Isaia VII, 14-15).

Secondo Dionigi l’Aeropagita, il miele è paragonabile agli insegnamenti divini giacché hanno tutti la proprietà di purificare e di conservare la conoscenza suprema.

Nella liturgia cultuale greca, il miele era un simbolo di protezione ma, soprattutto, di pacificazione. Così che simbolicamente l'orso, cercando di cibarsi di miele, opera in se stesso un'opera d’asservimento agli ideali più alti della pacifica convivenza tra gli uomini.

In tal senso l'orso, mediante il nutrimento del miele, diventa allegoria della saggezza sempre foriera di pace e d’elevazione spirituale.

Nelle tradizioni d'area celtica, il miele venne esaltato quale principio fecondatore, sorgente di vita e di fecondità.

Fu considerato il cibo preferito dagli dèi, ed unito al vino e all'acqua avrebbe costituito la bevanda preferita di Odino-Wothan, l'idromele.

L'eroe Kohamar, così si rivolge al dio aso Baldr (Baldur) in un anonimo poema norvegese del VI secolo:

"... come le api fabbricatrici di succo/ versano succo nel succo/ così in me si rafforzi la luce/ Come le mosche si bagnano nel miele/ così nel mio essere la forza e l'acutezza/ il vigore e la possanza siano affermati/ O signore dello splendore/ spandi su di me il succo delle api ..."

Il simbolismo e il culto dell'orso sono ampliamente riscontrabili anche tra gli antichi popoli dell'America del Nord.

Gli sciamani delle tribù Sioux, ad esempio, nei loro canti sostenevano che l'orso si sarebbe ricordato di tutto, sarebbe stato "l'orecchio (memoria) della Terra".

Sotto tale aspetto, l'orso fu considerato uno dei tanti spiriti naturali aleggianti tra gli alberi delle foreste.

Probabilmente per questa sua mitica caratteristica, essi non lo nominavano direttamente, ma lo indicavano con affettuosi soprannomi: "nonno", "zio" e "fratello maggiore", oppure "grande vecchio", "vecchio nero" e "comandante della foresta".

Gli indiani Uroni, invece, consideravano l'orso un animale particolarmente influente nella magia naturale.

Grandissima importanza nelle operazioni magiche era, infatti, attribuita a parti del suo corpo come le zampe, gli artigli e i denti.

Il suo osso scapolare, infisso all'ingresso d’ogni kepì, era creduto un potentissimo talismano contro gli spiriti maligni.

Per gli "uomini di medicina" del popolo degli Algolki era fatto obbligo vestirsi soltanto delle pelli degli orsi.

Era loro credenza, infatti, che solo con questi primitivi indumenti essi avrebbero potuto curare le malattie e ottenere il favore degli spiriti della natura.

Per gli indiani Seminole, i denti e gli artigli triturati dell'orso avrebbero prevenuto e curato le infezioni intestinali del bestiame, mentre tra i Moehacan portare sulle spalle la carcassa dell’orso, sarebbe stata garanzia di un'ottima caccia.

Presso gli indiani Pueblos, era tradizione dedicare un focolare allo "spirito dell'orso", dove le donne dovevano spandere acqua a conclusione di riti magici propiziatori a favore della caccia o degli scontri armati con le tribù nemiche.

Presso il popolo Navajo lo spirito dell'orso era invocato come testimone di giuramenti solenni. In più iscrizioni rupestri sono leggibili queste frasi: "che la tempesta magica dell'orso mi divori se non manterrò il patto", oppure: "che lo spirito dell'orso sia testimone che non sono colpevole". Il dato curioso è che simile attribuzione ursina era conosciuta anche presso i popoli tartari dell'Altai.

Le popolazioni eschimesi, infine, considerano tutt'oggi di malaugurio calpestare le orme sulla neve degli orsi.

Credono, infatti, che cancellarne le impronte costituisca una grandissima offesa per l'animale che, dal canto suo, reagirebbe magicamente apportando malattie non solo alla famiglia di chi le avesse calpestate, ma persino a tutti i componenti del clan di appartenenza.

Il simbolismo dell'orso fu presente anche nelle tradizioni magiche di certe antiche popolazioni asiatiche. Il popolo Aniu, stanziato principalmente nell'isola di Hokkaido, in Giappone, credevano che l'orso fosse stato una divinità della montagna, meglio ancora la reincarnazione della loro massima divinità, Hoka.

All'animale era dedicata una festa specifica nella prima metà di dicembre, detta "Kamui Omate", nel corso della quale si svolgevano riti magico-religiosi ben precisi al fine di propiziarsi la sua protezione.

La divinità-orso discesa sulla terra, sarebbe stata accolta, appunto, con festeggiamenti dagli uomini, ed avrebbe lasciato importanti doni per poi ritornare sui monti, nella sfera del divino.

In certe regioni della Cina, nell'antico Catai, l'orso fu considerato ugualmente connesso alle divinità montane.

Avrebbe incarnato, inoltre, il principio maschile della natura e la sua apparizione nei villaggi avrebbe annunciato la nascita di maschi, sia nelle comunità umane che nel bestiame.

Una delle massime divinità cataiche, Yu-Bin, l'organizzatore del mondo", avrebbe assunto spesso le sembianze di un orso per comunicare ai suoi devoti la propria volontà.

L'orso fu altresì considerato come l'elemento maschile nello "yin-yang", contrapposto alla figura femminile del serpente.

Nell’arcaica religione indù, invece, l'orso (kshatriya) fu in sostanza considerato come uno degli animali "architetti del cosmo".

Sarebbe stata la cavalcatura preferita della yogini Ritsamada, che avrebbe avuto la funzione anche di portare nella volta celeste il sole ogni giorno.

Pertanto, in queste culture all'animale fu spesso riservato l'appellativo di "conduttore del sole" e, per estensione concettuale, di “portatore di fertilità”.

All'orso sono stati attribuiti significati anche in ambito astronomico.

La costellazione, dell' "Orsa Maggiore" (Grande Carro), è composta di sette stelle splendenti.

Secondo le credenze magiche dei popoli dell'Europa centrale, le stelle sarebbero la sede d’altrettanti spiriti planetari (cfr. le concezioni magico-mitologiche agrippiane, XV-XVI secolo) che avrebbero presieduto alla saggezza umana e alla sapienza primordiale.

L'Orsa Maggiore sarebbe stata, dunque, al tempo stesso dimora di divinità e centro della conoscenza divina.

Tali concezioni sono riscontrabili nelle antichissime tradizioni astrologiche mazdee e persiane. Qui, i sette astri corrispondono ognuno agli orifizi del corpo e ai sette punti vitali del cuore.

Quest'ultimo organo fu sostanzialmente identificato con tale costellazione. Anche nel libro dell"Apocalisse" di Giovanni, il Cristo del "nuovo avvento" tiene nella mano destra le sette stelle dell'"Orsa Maggiore".

In seno a certe conoscenze esoteriche di marca teosofica, infine, l'Orsa Maggiore fu indicata come elemento di meditazione e di contemplazione spirituale.

Secondo tali teorie, la costellazione sarebbe idealmente perpendicolare al centro della testa dell'uomo, e la sua visualizzazione sarebbe elemento basilare nelle pratiche iniziatiche d’unificazione dello spirito con la centralità divina.

Concludiamo la disamina simbolistica sull'orso riportando per sommi capi un racconto ben conosciuto nell'Italia centrale nel XIII secolo.

"Avvenne che un'orso dal pelo nerissimo si fosse aggirato nei territori sottoposti ad un duca crudele, seminando terrore non solo tra la gente di campagna, ma anche nelle persone abitanti nei paesi.

Per catturarlo si erano mobilitati da molti anni valenti cacciatori e prodi cavalieri, attirati soprattutto dalla lauta ricompensa che il signorotto aveva promesso a chi gli avesse portato ancora grondante di sangue la testa della bestia.

Ma tutto era stato inutile. L'animale continuava a percorrere le campagne facendo strage del bestiame e dei frutti degli alberi. Un giorno, mentre la soavissima figlia del duca stava passeggiando nel giardino del castello paterno in compagnia di due giovani serventi, d'improvviso sbucò fuori dagli alberi il feroce animale.

Le due ancelle fuggirono gridando, impaurite dall'aspetto dell'orso.

Ma la giovinetta si drizzò davanti all'orso con coraggio e disse: "Se vuoi sbranare questo corpo vieni pure, ma se anche tu sei un fedele di Gesù Cristo Nostro Signore, vattene da me e non procurare più tormenti a coloro che credono in lui!"

A queste parole la bestia si fermò di colpo. Guardò stupito la fanciulla e come per miracolo le disse: "Basterebbe un tuo soavissimo bacio per fermare la mia ira e ridiventare quello che io sono in realtà!"

La fanciulla, stupita e commossa, si avvicinò all'orso e con un forte abbraccio lo baciò dolcemente.

La bestia emise un fortissimo grido, mentre la sua pelliccia per incanto si sciolse come la neve al sole. Ed apparve di fronte alla fanciulla un giovane bello e dai capelli biondi, vestito di un'armatura di colore rosso scintillante. Tra i due sbocciò un amore improvviso, un sentimento che sconfisse ed annullò gli effetti di un malefico sortilegio perpetrato sul giovane.

In effetti questo era figlio di re, condannato da una perfida maga a vivere sotto bestiali sembianze, finché l'amore disinteressato di una vergine devota non l'avesse redento."



FONTE www.astercenter.net/ILLUPO.htm
 
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shadoo
view post Posted on 3/2/2010, 14:20     +1   -1




L' orso è forse l' animale rispetto al quale l' uomo avverte maggiormente la sua posizione contraddittoria nei confronti del mondo animale : familiarità e affinità da un lato, estraneità e opposizione dall' altro. Esso è tuttora - o lo era, prima che gli Occidentali riuscissero praticamente a distruggere quasi tutte le culture tradizionali - dio e al tempo stesso padre, fratello, figlio, amico per tutti i popoli della galassia uralo-atlantica, dai Lapponi ai Siberiani ai Pellerossa d' America; ma il suo culto era vivo anche tra i popoli indoeuropei, come dimostrano i miti indiani e quelli greci, quelli celtici e quelli germanici e come racconta la leggenda osseta. Questa antica familiarità - che, se non corrisponde a contenuti achetipici, ha comunque l' aria di venirci da molto lontano dalla preistoria - non è stata del tutto tradita neppure ai giorni nostri : l' orso ha una parte di rilievo nelle fiabe antiche come nei disegni animati dei bambini, che del resto in qualche misura da quelle fiabe dipendono almeno per i simboli-base; e l' orsetto di pezza cha regaliamo ai nostri piccoli per giocare ( forse augurio di forza se offerto ai maschietti, di fecondità se affidato alle femminucce ) conserva ancora questa duplice in apparenza per noi occidentali moderni ( ma solo per noi ) contraddittoria carica di energia guerriera e di affetto materno-filiale. L' orso è feroce, eppure è simpatico : e nelle sue movenze, talora nei suoi atti e in quel che a noi può sembrare il suo modo di "pensare", ricorda spesso l' uomo : in ciò può rammentare la scimmia, e non a caso nelle leggende indiane orso e scimmia sono ravvicinati : Kipling non ha potuto fare a meno di notarlo. Padre Orso,Figlio Orso, Fratello Orso : le leggende pellerossa e i riti dei Tungusi siberiani sono pieni di espressioni di questo genere e presso i Tungusi come presso quell' enigma storico-antropologico che sono gli Ainu ( forse autentico fossile etnologico, relitto della grande estinta famiglia paleoeuroasiatica e quindi anello di congiunzione - e in realtà residuo dei comuni antenati - di indoeuropei e uraloaltaici ) l' orso sacro viene allevato, allattato dalle donne della comunità e amato e vezzeggiato come un bambino prima di essere ucciso con un rituale guerriero dove però gli elementi apotropaici sono molto forti ( gli si rammentano i benefici ricevuti, gli si chiede scusa, gli si ricorda che andrà tra gli dèi ) e mangiato completamente, nel corso di una cerimonia attenta e accurata durante la quale si fa bene attenzione ad assorbire anzitutto quegli elementi - il fegato, il sangue - che danno forza e coraggio e che consentono all' animale di incorporasi nella comunità, quindi di continuare a vivere in essa. Opposizione, ma anche familiarità : presso i Gilyak, popolazione tungusa delle Siberia orientale, l' anima di un cacciatore ucciso in combattimento da un orso entra nel corpo della belva. Abbiamo così, in questa grande cultura sciamanica, un esempio di orso-uomo; al contrario ( o meglio, reciprocamente ), il guerriero sioux che vuol far voto di se stesso in battaglia, giurando di non indietreggiare fino alla morte, indossa la "cintura d' orso", un indumento di pelle d' orso che qualifica il suo "farsi belva", il suo trasformarsi rituale in quell' animale tra tutti celebrato per le sue attività guerriere ( per i Dakota l' orso Grizzly è il "guerriero a quattro zampe" ). Troveremo in area nordico-germanica usi e riti di questo genere, in cui all' orso risulterà associato il lupo : altro enigma la cui soluzione riposa forse in grembo alle dimenticate culture paleoeurasiatiche. Tre elementi, insomma, sembrano aver colpito l' uomo nel suo rapporto millenario con l' orso : la sua somiglianza con aspetti e atteggiamenti propri della specie umana ( Plinio, forse fraintendendo Aristotile, giungeva a dire che il coito degli orsi è atteggiato come quello umano : e molti bestiari medioevali lo ripetono, adombrando l' ipotesi della possibilità di un connubio umano-ursino ); la sua furia "primitiva" che ne ha fatto per gli alchimisti il simbolo della nigredo e per la psicanalisi un segno dell' inconscio; il suo coraggio e la sua forza guerriera. Primitività, forza, propensione ludica : anche Dante ricorda "l' orsa quando scherza". Alcune osservazioni sia morfologiche sia storiche su qualche mito ci offriranno forse, almeno in via ipotetica, risposte interessanti alle domande che quel che abbiamo detto ci impone. Il carattere informale e primordiale della natura dell' orso, che sembra giustificare almeno a prima vista la sua ferocia, è sottolineato dalla zoologia antica : secondo Aristotele, seguito da Plinio, i piccoli dell' orso appena nati non hanno ancora forma definitiva, ed è la madre a provvedere a ciò leccandoli accuratamente. Questo tratto specifico - che accomunerebbe ad esempio l' orso al leone, i cui piccoli nascono morti prima che la madre dia loro la vita - ha potuto far sì che nella teologia cristiana l' orso si avvicinasse all' uomo stesso, anch' esso tutt' altro che autosufficiente appena nato. Nella simbologia cristiana l' orso ha un ruolo relativo, giustificato dal fatto che raramente figura nelle Scritture : a parte l' episodio di Eliseo, dove alcuni orsi usciti dalla foresta fungono da giustizieri nei confronti di fanciulli che avevano deriso il profeta per la sua calvizie. Il fatto però che il cristianesimo si propagasse in Europa, continente ricco d' orsi, immise l' animale anche nell' immaginario cristiano grazie soprattutto alle vite dei santi. In quella di San Gallo, ad esempio, - che è il celtoibernico Cellach, fiorito nella prima metà del VII secolo e fondatore della celebre abbazia - un orso gli fornisce il legame da costruzione di cui egli ha bisogno. Nella leggenda di San Cerbone, raffigurata tra l' altro su l' architrave di Massa Marittima, gli orsi nella fosse dei quali il sovrano gotico Totila ha fatto gettare il santo si comportano come i leoni del profeta Daniele, cioè gli lambiscono i piedi. Nella vita di San Giovanni Gualberto, invece, un orso viene ucciso su ordine del santo da un colono : e c'è da chiedersi se non siano qui adombrate le "tre funzioni" duméziliane ( il santo per la prima, l' orso per la seconda, il colono per la terza ). Non è improbabile, in quanto come vedremo - e come del resto si è qua e là anticipato - la funzione dell' orso è quella guerriera, e le vite dei santi dell' XI secolo abbondano di episodi nei quali i contadini e i pauperes, con l' aiuto del santo stesso, umiliano i milites, i tyranni, gli effractores pacis. Non era l' orso-guerriero, comunque, a interessare la simbologia cristiana che in ciò disponeva di altri simboli; la Chiesa, del resto, era preoccupata ( almeno fra X e XI secolo, al tempo delle conversione dei Germani del nord ) del permanere di miti e forse anche di miti pagani protagonisti dei quali era l' orso : è quindi comprensibile non si rifacesse ad esso in contesti militari. Era invece semmai l' amore materno dell' orsa che forma i piccoli a offrire ottima materia di allegorizzazione : e difatti nel duecentesco Bestiario moralizzato di Gubbio l' orsa che plasma i figli con la bocca diviene il simbolo della Chiesa che forma il cristiano per mezzo del battesimo. Questo fu ritenuto, nel patrimonio dell' antica scienza zoologica relativa all' orso, il dato caratterizzante, come tale riferito in tutta la tradizione enciclopedica medievale. D' altronde, nel medioevo orsi popolano l' epica e l' araldica : la loro tradizione guerriera continua, e si ha l' impressione che si accampi in una dimensione culturale che la Chiesa ha teso a censurare in quanto pericolosamente permeata di valori pagani. Vediamo perchè, e quali tali valori potessero essere. Sale subito alla mente il mito della ninfa Callisto, figlia di Licaone e cara ad Artemide; incorsa poi nell' ira della dea in quanto amata da Giove dal quale aveva avuto il figlio Arcade, fu mutata dalla sua indignata protettrice in orsa, e dal suo divino amante nella costellazione che oggi è ancora nota come l'Orsa maggiore. Un mito che ci dice molte cose : il rapporto fra l' orso e il culto astrale, quello fra l' animale e la caccia ( e la caccia notturna in modo specifico : si pensi ad Artemide ), quello fra l' orso e il lupo ( Callisto figlia di Licaone e madre di Arcade ), quello fra l' orso e certe popolazioni che l' avrebbero capostipite ( gli Arcadi ). Si tenga presente che il termine greco per orso è arktos ( sanscrito arkshas ), parola che indica anche il Settentrione e che è presente come parte del nome di Artemide, cacciatrice e pothnia theròn, "Signora degli animali", che come tale appare spesso provocatrice di metamorfosi ( si pensi al mito di Atteone ). Fra i molti animali che hanno con Artemide un rapporto privilegiato - tra cui il leone e il cervo -, spiccano il cinghiale ( è come cacciatrice di cinghiali che la dea viene presentata nell' Odissea ) e l' orso, poiché l' Artemide d' Arcadia è trasformata in orsa e in onore dell' Artemide Brauronia si esegue una "danza dell' orso". Il rapporto tra l' orso e il cinghiale ha un fondamentale significato nelle culture indoeuropee. Nella cultura dell' India vedica ci imbattiamo in divinità-orsi dei venti e delle tempeste, e assistiamo alla dicotomia tra il cinghiale, simbolo della casta sacerdotale, e l' orso, simbolo di quella guerriera. Se ciò si verifica nella cultura sita più ad oriente fra quelle indoeuropee, lo stesso accade in quella più occidentale, la celtica, dove nella rivalità tra cinghiale e orso si legge agevolmente quella tra potere spirituale e potere temporale. D' altronde il dio-orso celta, Artaios, ha caratteristiche psicagogiche che lo avvicinano alla funzione di Hermes e che, quindi, potrebbero porlo in rapporto con il germano Wotan, i guerrieri prediletti del quale - più tardi, specie in contatto con il cristianesimo, divenuti violenti, feroci, senza legge - sono i berserkir, letteralmente "pelle ( o veste ) d' orso". Torneremo sui berserkir germanici. Giovi per ora osservare che la "irriflessa", "primitiva" furia dell' orso sembra nascondere, al contrario, la profonda saggezza propria dell' iniziatore guerriero che conosce sia le strade attraverso le quali il combattente, aprendosi alle forze ferino-divine, si libera dalla paura, sia le vie che conducono all' Altro Mondo. Il wut germanico, termine incluso nel nome di Wotan (così il suo equivalente nordico odhr, in Odhinn ) è un furor che s' impadronisce dell' eroe rendendolo simile a una belva, esattamente come nell' epica greca diviene simile a una belva l' eroe-daimon ( e l' esempio tipico è Diomede, "leone"). Ma si tratta di un furor che, al pari della greca manìa, si imparenta strettamente con l' ispirazione che viene dagli dèi, con la poesia e la profezia. Il valore guerriero indotto attraverso rituali di tipo sciamanico, consistenti nell' "aprirsi" all' essenza ferina del dio-belva o del dèmone-belva evocato, conduce a collegarsi direttamente con l' Altro Mondo, quello dei defunti : il dio geto-tracico Zalmoxis ( nome che in realtà pare scitico, e che si interpreta come "racchiuso nella pelle dell' orso ) è appunto signore di un Altro Mondo rappresentato da una caverna all' interno di una montagna. E troviamo un orso tra gli animali che Soslan, l' "eroe solare" delle ossete "Leggende dai Narti" ( i caucasici Osseti sono, come è noto, quanto resta dell' antico popolo scitico ) benedice nel Paese del Morti. Dumèzil ha avvicinato la scena della morte di Soslan, sulla quale piangono gli animali, a quella della morte di Baldr nella Gylfaginning di Snorri. Limitiamoci a ricordare questo rapporto così affascinante, e leggiamo la benedizione di Soslan all' orso : "Ecco il privilegio che domando a Dio per te : la tua sola traccia seminerà lo spavento tra gli uomini, e tu resterai cinque mesi all' anno in una caverna senza provare il bisogno di mangiare!". Conosciamo bene il valore magico delle tracce e delle orme - intese anche come immagini - nelle culture tradizionali. E d' altra parte notiamo come il letargo dell' orso venga qui presentato quasi come una morte stagionale, e l' animale ne esca obiettivamente rappresentato come un vincitore della morte, un essere che può morire e risorgere. Nella Ynglingasaga sono presentati i guerrieri-belva di Odhinn, i berserkir ( pelle d' orso ), equivalenti dei quali nella tradizione norrena sono gli ulfedhnar ( veste di lupo ). Essi " ..... andavano senza corazza, selvaggi come cani e lupi. Mordevano i loro scudi ed erano possenti come orsi e tori. Facevano eccidio di uomini e ferro e acciaio nulla potevano contro di loro". Queste caratteristiche non erano costanti : si conseguivano per mezzo di un rituale estatico che non conosciamo, e al quale può darsi non fosse estranea l' assunzione di sostanze allucinogene. Le qualità così ottenute si possono sostanzialmente indicare nell' identificazione con una belva della quale si portano i contrassegni ( la pelle, forse, per i guerrieri-orso un collare di ferro, secondo una usanza che Tacito attesta per i germanici Catti e che è restata a lungo viva nel folklore danese sotto forma della leggenda che ci si potesse trasformare in orso indossando un collare di ferro ) e nel conseguimento di una specie di invulnerabilità. Siamo dinanzi a figure mitiche, beninteso : e niente è più pericoloso di storicizzare le figure mitiche attraverso escomotages di tipo evemeristico. Lo sappiamo molto bene, come sappiamo che è grave errore mischiare ( e confondere ) mito e rito. Ciò detto, bisogna però anche aggiungere che la proposizione delle figura mitica del berserkr poteva ben avere, nella cultura norrena, il ruolo del modello archetipico al quale erano ritualmente chiamate ad adeguarsi ( il rito è riproduzione liturgica del mito ) confraternite iniziatiche di guerrieri particolari, sorrette dal patronato di un animale totemico, e chiamate ad assumere funzioni specifiche ( di "margine" ma anche di "difesa estrema" in casi congiunturali ) della società nell' ambito della quale i loro componenti vivevano. Il travestimento da orso o da lupo non era soltanto un' astuzia bellica atta a spaventare il nemico o l' assunzione di un abito contrassegnante l' appartenenza alla confraternita : poteva anche essere il segno esteriore - e la tempo stesso il veicolo rituale - di una temporanea possessione dello spirito-belva che, sciamanicamente evocato, entrava nel guerriero. E sorge il problema : il berserkr è dunque il guerriero "pelle d' orso", oppure l' essere umano che presta il suo involucro di carne, la sua pelle, all' orso divino che, evocato, entra dentro di lui? Non sarà piuttosto, in altri termini, il "guerriero la pelle del quale serve all' orso"?. Le saghe norrene, hanno, com' è noto, un discreto spessore storico-cronistico accanto a quello mitico-rituale. La Egillsaga ci narra ad esempio del contadino Ulfr ( che si chiamasse lupo può essere solo una coincidenza : era un nome comune ), il quale era stato berserkr e che, di tanto in tanto, sul far della sera, veniva posseduto di nuovo dallo spirito-belva. Era un "lupo di sera", uno capace di cambiar natura : uomo capace di subire una metamorfosi almeno interiore, eigi einhamr, "non di una sola natura". Non insistiamo oltre su questo parallelismo tra orso e lupo, che ci condurrebbe al tema della licantropia e al suo equivalente ursino : limitiamoci a ricordare come il nome stesso Beowulf, che dà il titolo al noto poema, significhi "Lupo delle api", quindi orso, così chiamato in quanto goloso di miele. Nella Hrolfrssaga l' eroe Bodhvar Kjarki combatte sotto forma di un grande orso mentre il suo corpo sta dormiente nella retroguardia : Bodhvar è però figlio di Bjorn, "Orso", un uomo che per incantesimo era costretto a vagare di notte sotto forma dell' animale del quale portava il nome, e di una donna chiamata Bera, "Orsa". La belva, che nel caso specifico di Bodhvar parrebbe corrispondere alla natura profonda dell' eroe, può forse identificarsi - per le varie confraternite iniziatiche militari delineate nella società norrena delle saghe, e che trovano del resto corrispettivo in molte culture tradizionali - con la hamingja, lo "spirito-guida" ( anche qui, usiamo il termine norreno per una figura viva in molte tradizioni ). E torniamo al vecchio Plinio della Naturalis historia : ".....In Spagna credono che nella testa dell' orso ci sia un veleno, e bruciano le teste degli orsi uccisi negli spettacoli circensi in quanto convinti che tale veleno, bevuto, scateni nell' uomo una rabbia da orsi". Presentata così la notizia non convince. Se corrisponde a verità, l' interpretazione pliniana appare semplicistica. Questa rabbia da orsi ricorda troppo il wut del berserkr nordico-germanico, e la testa dell' orso è l' oggetto privilegiato dell' arktolatria ainu e tungusa; siamo in Spagna, paese in tempi di Plinio caratterizzato da un fondo etnico ancora pelasgico e quindi celtizzato. L' orso insensato e feroce è in realtà un saggio : Plinio stesso lo dice "scaltro nel far del male, pur nella sua stoltezza". E' un mangiatore di miele : e dall' India vedica alle culture ellenica, celtica e germanica ( ma anche nella Bibbia ) il miele è posto in relazione con la dolcezza della parola divina, con la verità, con la poesia-profezia. Il furore guerriero delle confraternite di iniziati è in realtà ispirazione divina. Naturalmente, il cristianesimo medievale osteggiò l' iniziazione guerriera - nella quale s' imbattè soprattutto durante l' evangelizzazione del mondo celtico prima, germanico poi - come tutti quegli usi pagani che non sembravano suscettibili di acculturazione. Può darsi che pratiche estatiche atte a sostenere il guerriero in combattimento si fossero perpetuate all' interno di gruppi militari di élite, come le varie forme del comitatus germanico, e per questa via giungessero ai milites altomedievali. La Chiesa non poteva certo avvallare rituali e atteggiamenti del genere, che in effetti - nelle saghe più tardi, come nell' epica francese d' oil - sembrano proprie di guerrieri asociali, criminali, in casi estremi perfino indemoniati : una saga norrena ormai appartenente al periodo posteriore alla completa cristianizzazione dell' Islanda, la Vatnsdalsaga, parla di due berserkir esempio terribile di arbitrio e di incontrollata violenza, che vengono uccisi per consiglio del vescovo senza uso di armi di ferro ( perchè dalle ferite inferte con tale metallo sono "magicamente", o ritualmente, immuni. La Chiesa dell' XI-XII secolo elaborò, tra Gregorio VII e san Bernardo di Chiaravalle, il suo ideale di guerriero cristiano : il cavaliere, sia laico che monaco. Non c' era più bisogno di orsi : e difatti, se vogliamo trovare qualche traccia dell' antico folklore guerriero ( e forse delle antiche tecniche iniziatiche ), è al permanere di elementi di cultura tradizionale filtrati ad esempio attraverso il romanzo arturiano che bisogna rivolgersi ( si pensi al "leone-guida" dell' Yvain, che ricorda lo hamingja ). Gli orsi, quindi, restano al loro posto guerriero : ma sono oggetto di una interessante dicotomia. Il linguaggio profondo di una cultura non si cancella facilmente : è più comodo mantenerlo mutandone il segno. Così, l' orso guerriero ridiviene plinianamente feroce e malvagio, e lo si utilizza - come nella Chanson de Roland - quale simbolo onirico dell' antieroe, Gano di Maganza. Oppure, nel Cantar de Mio Cid ( un' opera che ci giunge da quella Spagna nella quale cultura araba e memoria celtica e germanica si incontravano ), riaffiorano significativamente gli animali di base dell' immaginario celtico legato alle funzioni sacerdotale e guerriera, che il poeta cristiano riferisce naturalmente agli infedeli : sono orsi di montagna, il loro capo è un cinghiale dalle setole d' oro. Ma i cavalieri cristiani non avevano evidentemente dimenticato il loro vecchio amico. Per quanto i bestiari non lo autorizzerebbero, l' orso rimane protagonista dell' onomastica nobiliare e delle insegne araldiche. Lo troviamo soprattutto nell' araldica medievale tedesca e francese del sud ( Guascogna, Pirenei, Delfinato ). La caccia all' orso resta, con quella al cinghiale e al cervo, privilegio dei grandi e nobili guerrieri. L' uomo e l' orso continuano ad amarsi e a combattersi : questo è l' ordine delle cose, almeno finché l' uomo ha continuato a rispettarlo.




FONTE http://xoomer.virgilio.it/bestialbhv/Absanim2.htm
 
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